sabato 11 maggio 2013

LIFE
Della psicoterapia, e altri dubbi


Ho visto una puntata di In Treatment, una nuova serie TV italiana diretta da Saverio Costanzo e interpretata da Sergio Castellitto, psicoterapeuta che ospita ogni settimana nel suo studio pazienti di varie tipologie (in breve, l'episodio che ho visto è incentrato sulla figura di Dario, magistralmente interpretato da Guido Caprino, carabiniere sotto copertura coinvolto in una difficile indagine su una pericolosa organizzazione criminale). Oltre a essere rimasto incredibilmente stupito dall'ottima fattura della serie TV, di livello eccelso, soprattutto nel desolante panorama della televisione italiana di oggi, sono andato inevitabilmente con il pensiero alla mia situazione personale.
Sono in terapia da quasi due anni ormai, un universo nebuloso che mi ha letteralmente cambiato la vita. E guardando la puntata in questione, dove Dario confessa al suo terapeuta la paura di essere gay, con tutte le ripercussioni del caso (mito del machismo messo in discussione, identificazione dell'omosessuale come essere debole e frignante, con conseguente timore di non essere in grado di affrontare le traversie della vita), non ho potuto non osservare la partecipazione umana dello psicoterapeuta di fronte al momento di crisi vissuto dal paziente. E mi sono chiesto: quanto c'è di veramente empatico nell'atteggiamento di uno psicoterapeuta? Quanto partecipa effettivamente al dolore del suo paziente? Quanto la scelta del suo lavoro è stata influenzata dalla necessità o dalla voglia di aiutare le persone? E quanto l'identificazione della psicoterapia come servizio che prevede un compenso di natura economica (laddove privata) ci permette effettivamente di interpretare la professione come un bene di cui ci forniamo, proprio come se andassimo a un supermercato o in un centro commerciale?
Mi piace pensare allo psicoterapeuta come a una persona pagata per condividere le sue conoscenze didattiche, apprese dopo anni e anni di studio intenso, ma che nella sua professione investe una notevole percentuale di umanità ed empatia verso l'altro. Una missione, più che un lavoro, come quella di un medico.
Mi piace pensare allo psicoterapeuta come a una persona in grado di aiutarmi umanamente a capire i miei limiti e a fornirmi gli strumenti per accettarli, laddove sia impossibile superarli.
Mi piace pensare di sedermi di fronte a una persona che offre il suo servizio ponendosi come primo obiettivo quello di aiutarmi a migliorare la mia vita, e non quello di gonfiarsi il portafogli.

1 commento:

  1. ...secondo me dipende dallo psicologo. Ho avuto i tuoi stessi dubbi. Se pensi che ti siedi a parlare davanti a una persona interessata solo ai soldi diventa deprimente e credo che nessuno aprirebbe bocca. Eppure di psicologi così ne ho visti eccome. Però con una psicologa che ha seguito me e Luca mi sento ancora e ha condiviso con noi la gioia del matrimonio e del bambino (le dico sempre che un po' è merito suo)...ma credo anche che se ti dovessi far carico dei problemi dei tuoi pazienti poi come potresti vivere? In effetti la serie tratta anche di questo, visto che a sua volta Castellitto si rivolge a Licia Maglietta, la psicologa che lo ha formato e che "lo segue". A questo punto sarei curiosa di vedere la versione americana da cui è stato tratto... http://mag.sky.it/mag/cinema/photogallery/2013/03/25/in_treatment_cast_americano_e_cast_italiano.html#7

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